Yucatan

io sono consapevole di essere stata generata da Questa Terra con semplicità con volontà

27 January 2011

Sognare senza caffeina

I miei sogni sono sempre stati una parte importante del mio confronto con la creatività ed hanno spessissimo avuto una vera versione cinematografica, perchè durante l'evoluzione del sogno avevo modo di cogliere tutti gli aspetti, fin anche la qualità dell'aria o la polvere su un passamano.
Spesso li ho raccontati, analizzati, ricordati e li aspettavo come uno specchio delle mie sensazioni profonde.
Poi ho tolto il caffè dopo le 7 di sera e, ultimamente, ho ridotto i miei caffè a massimo due al giorno.
I sogni sono spariti. Non ne ricordavo più nessuno né avevo sensazioni rispetto all'averne fatti. Buio totale da quando mi addormentavo a quando mi risvegliavo, che poteva succedere anche molte volte nel corso della notte, ma sempre all'improvviso.
Negli ultimissimi giorni invece questi compagni di viaggio sono tornati.
All'inizio pochi fotogrammi e sempre legati a situazioni di ansia, agitazione, precarietà.
Poi, finalmente, un sogno piacevole. Non così elaborato come in precedenza, diciamo "sotto caffeina" o in età adolescenziale, però almeno piacevole.
Ero in mare aperto, ma avevo la sensazione di avere alle spalle una serranda di una zona industriale. Ero su un mega galleggiante, di quelli che ti ci siedi dentro e lasci mani e piedi ciondolare nell'acqua.
Tutto sembrava calmo e tranquillo. Solo una porta, come di un garage, tornava ogni tanto a sbattermi leggermente contro il piede o contro il galleggiante.
Incuriosita da questa ripetitività, apro gli occhi e vedo, a poca distanza da me, il faccione di un ippopotamo, che era per metà nell'acqua.
Razionalmente so che gli ippopotami non vanno in mare aperto, però nel sogno c'era e mi guardava. Proprio come l'ippopotamo dei documentari, con le frogette tonde, lo orecchiette piccole e le forme arrotondate. E se sei in mare da sola, il faccione di un ippopotamo è grande!
però, guardandolo bene in viso, ho capito che mi rimandava la porta di ferro perchè voleva giocare.

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03 January 2011

Atlanta airport

Aereporto di Altanta, all'immigrazione cercando di correre all'aereo successivo per Roma.
Nello stesso stanzone, più a sinistra, la lunga fila degli statunitensi in arrivo nel Paese.
Ad un certo punto iniziano ad arrivare molti soldati statunitensi in licenza di capodanno - si direbbe - ancora vestiti con mimetica e stivali.
Sfilano in maniera disordinata, con l'aria un po' sbigottita, in silenzio.
Poi, dalla fila degli statunitensi in arrivo inizia un applauso, sempre più forte e partecipato.
Di tanto in tanto si silenzia e poi riprende. L'altoparlante augura buon anno alle truppe.
Alcuni soldati e soldatesse hanno in mano delle bottiglie, forse per festeggiare la sera.
Superata l'immigrazione li vediamo radunati in un'unica sala. Un tappeto di verde macchiato, sacchi a pelo arrotolati e zaini.
Poi si sparpagliano, ognuno verso una connessione diversa.
Il mio essere non-violenta si è molto aizzato contro quell'applauso. Ci vuole veramente coraggio ad andare armati fino ai denti in un paese medio orientale - come sembravano suggerire le scritte in arabo sulle divise - reduce da una lunga guerra, dove gli unici armati sono stati finanziati dai foschi e torbidi introiti del petrolio e della droga?
Oggi in Italia la salma di un ragazzo giovanissimo, alpino, è rientrata dall'Afghanistan. Sono immensamente dispiaciuta per lui, per la sua vita, per la sua famiglia. Forse quella italiana è anche parzialmente una missione di pace, ma quella di uno stato che si è inventato di tutto per giustificare interventi militari?

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